VQ Tiger Moth

Cesare De Robertis per Modellismo 

Ho sempre avuto un debole per i biplani. Fra i miei modelli sono sempre stati quelli con cui ho volato con più soddisfazione. Ultimamente mi è tornata la voglia e così ho fatto un salto da Jonathan per vedere se ci fosse qualcosa che mi potesse ispirare, ma non mi portasse via troppo tempo.

Così sono incappato in questo Tiger Moth prodotto dalla vietnamita VQ Model; una semiriproduzione poco costosa e di discreto impatto visivo, dato che un metro e quaranta di apertura, per un biplano, non è pochissimo.

Il modello è un ARTF molto ben fatto, anche se le finiture non sono al livello dei modelli della Black Horse (per citare un'altra casa vietnamita) ma il prezzo (239 Euro) è decisamente accessibile soprattutto se si considera che oggi è abbastanza facile pagare cifre analoghe per dei gommoli che non sono certo all'altezza di un buon modello di costruzione tradizionale.

La struttura è solida e gli incollaggi non lasciano assolutamente a desiderare, mentre la pellicola di rivestimento, una sorta di Orastick made in China, non è al livello di quello made in Germany e, sinceramente, dato che il modello potrebbe essere anche motorizzato a scoppio, nutro qualche dubbio sulla sua tenuta alla miscela.

Nel caso di una motorizzazione elettrica invece non ci sono problemi ed il materiale è applicato con cura e precisione.

Tuttalpiù richiede una botta di phon qua e là per migliorarne la tesatura.

L'assemblaggio del modello è semplice e lineare, assistito da un ottimo manuale illustrato che non lascia spazio a dubbi. Si comincia montando il motore, nel mio caso un Hacker A30-10XL, regolando la distanza dell'ordinata montata sui colonnini filettati in modo che la rondella di trascinamento esca di 3 o 4 mm dalla naca-motore in fibra di vetro.

Il montaggio dei piani di coda è senza storia perché gli incastri sono precisissimi e sia il piano orizzontale sia quello verticale risultano perfettamente in squadra senza bisogno di correzioni.

Il carrello è classico, a barre di torsione, e si monta davvero in un attimo.

Le ruote principali, in gommaspugna, mi hanno fatto sorridere: i coprimozzi sono gialli con un bella scritta “CUB” in rilievo! Evidentemente il produttore doveva averne un po’ avanzate dalla linea di produzione di un Piper e con pragmatismo e disinvoltura tipicamente orientali, le ha riciclate senza problemi. Io, senza arrivare al punto di piazzarci anche il monogramma “DH”, ho comunque carteggiato il rilievo ed ho verniciato le borchie con dell’Humbrol argento. Dieci minuti di lavoro in tutto. Il lavoro sulla fusoliera si conclude col montaggio della cabana e del finto serbatoio al centro dell’ala superiore.

La copertura con i posti di pilotaggio ed un pilotino si blocca ad incastro davanti e con due viti di nylon ai lati.

Nelle foto e nei video ci sono sempre due quadri-strumenti, ma nella mia scatola ne ho trovato solo uno. Probabilmente si è trattato di una dimenticanza, ma pazienza; se avrò tempo e voglia me ne farò uno su misura in pochi minuti.

Anche sulle ali non c’è molto da fare, a parte montare i servi degli alettoni e la ferramenta per i montanti alari e la finta controventatura. Le quattro semiali s’innestano su due baionette in dural da 12 mm e vengono bloccate alla fusoliera con quattro vitoni di nylon: due in fusoliera per l’ala inferiore e due dentro al finto serbatoio (che è dotato di un apposito portello di servizio a chiusura magnetica) per quella superiore.

A questo punto non resta che assemblare il modello, tendere i controventi (che, lo ricordo, hanno una funzione puramente estetica) e verificare il centraggio. Nel mio caso, per centrare il Tiger Moth nel punto più arretrato dell’intervallo indicato (112 mm) sono occorsi 120 grammi di piombo sotto al motore che, assieme ad una LiPo 4s da 5000 mAh, hanno portato il peso complessivo del modello a soli 20 grammi da quello indicato nelle specifiche: 3480 grammi contro 3500 dichiarati.

 

La prova in volo

Considerando il poco tempo a disposizione prima della pubblicazione di questo numero, ho dovuto prendere quello che “passava il convento”, ovverosia una giornata fredda, piuttosto ventosa e pure molto agitata se si considera che era un martedì. In campo infatti c’era di tutto: cani, pecore e per buona misura un elicottero della Forestale che, con tanto cielo a disposizione, si ostinava a passare sulla verticale del campo.

Mancavano solo i Sioux ed il 7° Cavalleggeri e poi eravamo al completo.

Approfittando di un momento di calma generale, sono andato in pista e dopo un ultimo controllo (i comandi al contrario sono sempre in agguato...) ho dato via libera agli elettroni.

Dopo una corsa di una ventina di metri, il Tiger Moth ha staccato le ruote iniziando una perfetta salita che ha richiesto solo qualche tacca di trim. Alla prima virata ho potuto constatare che quello che i piloti dicevano del full-size è la pura verità: a parte il fatto che come tutti gli aeroplani ha bisogno di virare coordinando timone e alettoni, questi ultimi sono decisamente pigri, mentre il timone si fa sentire eccome! Qualche giro sul campo a beneficio del fotografo e via in atterraggio sull’erba tenendo bene il muso al vento che, come ho detto prima, era allegrotto.

Le corse dell’elevatore e del timone suggerite dal manuale sono soddisfacenti, mentre quella degli alettoni, indicata in ±10 mm l’ho portata a +12 -15 mm perché un po’ di differenziale secondo me non gli fa male. Riprovando con queste correzioni le cose vanno decisamente meglio, ma per riuscire come si deve, le virate vogliono sempre il pilotaggio coordinato. Chi dovesse avere delle difficoltà, perlomeno all’inizio può miscelare il timone agli alettoni, ma andateci piano col mix (non più di 5 mm per parte) perché, come ho detto prima, si fa sentire molto bene.

Adesso non vedo l’ora di tornare a volare in una giornata di tempo più decente e, possibilmente, con la calma di vento. I biplani in genere, e questo in particolare, sono molto sensibili al vento e per valutarne bene le prestazioni servono condizioni più tranquille.

Comunque i looping, gli immelman, i tonneaux a botte e soprattutto i looping d’ala e le virate sfogate sono tutti pezzi forti di questo modello che per quel che ho potuto vedere sin qui, esegue tutto senza problemi. Non ho ancora provato la vite, ma sono curioso di vedere come si comporta. Durante la IIa Guerra Mondiale, infatti, vennero introdotti gli “strakes”, quelle (brutte) pinne orizzontali che si estendono verso lo stabilizzatore e che pare scongiurassero l’entrata involontaria in vite piatta, ma alcuni piloti non erano d’accordo. Tutto sommato, secondo me è più bello senza.

Se avete voglia di Tiger Moth, ma non vi potete permettere quello di Paolo Severin (o non volete perché alla sola idea vi tremano le gambe) con questo modello vi levate un pochino lo sfizio e adesso che arriva la primavera avrete di che divertirvi un bel po’.

Ah, dimenticavo: oltre che in blu, ce n’è anche una versione in rosso, se la preferite. L’unico aspetto negativo, se tale lo vogliamo definire, è che il montaggio del modello è una

operazione piuttosto lunga e tediosa, con in più il rischio di perdere viti, dadi e rondelle ad ogni pié sospinto.

Personalmente ho risolto come tutti i pigroni che amano aggirare gli ostacoli: lo lascio sempre montato, abbatto i sedili posteriori e via. Fortunatamente in macchina ci sta!

Cesare De Robertis per Modellismo