I comandi 3D negli aeromodelli

Antonello Santangelo per Modellismo 


L’aeromodellismo, in tutte le sue forme ed espressioni, è forse uno degli hobby che più di tutti racchiude in sé molte discipline tecniche e sportive. Volendo si può spaziare dalla progettazione CAD alla realizzazione con moltissime tecnologie costruttive, si possono congegnare riproduzioni dettagliatissime che richiedono anche indagini storiche e non si può di certo trascurare la parte del pilotaggio o l’eventuale partecipazione a gare e tornei in un vastissimo ambito di discipline.

Il campo d’azione è così vasto che sembra difficile poter abbracciare tutte queste possibilità con lo stesso grado d’impegno o con un adeguato bagaglio di competenze.

In quest’articolo volgeremo la nostra attenzione, con un certo grado di dettaglio, ad un aspetto tecnico di questo universo e parleremo dell’ottimizzazione dei sistemi di controllo delle superfici mobili di un modello acrobatico, con un occhio particolare a quelli idonei al volo 3D.

In altre parole, descriveremo le configurazioni più utilizzate per azionare le superfici mobili e mostreremo alcune soluzioni per ottimizzare la geometria del sistema. Per fare ciò si è sviluppato un foglio di calcolo che affronta il problema geometrico nei vari casi possibili, determinando la posizione delle superfici di controllo al variare della posizione angolare della squadretta del servo.

Quest’esigenza di progettazione nasce dal fatto che nei modelli acrobatici, e in particolare in quelli 3D, sono ormai richieste deflessioni delle parti mobili che raggiungono persino i ±60°, valori che sono in pratica i fondo corsa “elettrici” di molti servi in commercio. Questo implica che il braccio “efficace” del servo deve avere una lunghezza confrontabile con quella “utile” della squadretta della superficie mobile, dall’asse di cerniera al centro del foro. Si tratta di un collegamento “diretto” ed occorre sfruttare tutta l’escursione disponibile dalla propria radio utilizzando, se possibile, i surplus normalmente preposti alle correzione delle tolleranze e delle inevitabili imprecisioni. Solo così si ottiene il massimo della coppia di azionamento applicata alla superficie mobile e non si penalizza eccessivamente la risoluzione.

Prima di entrare nel dettaglio di alcune configurazioni meccaniche possibili per l’azionamento della superficie da controllare, è utile dare un breve cenno a come sono gestiti i servomeccanismi. Questo renderà forse ragione dei dettagli in cui ci addentreremo in seguito.

 

Il Servo: La precisione

Normalmente questi sistemi sono controllati dalla durata di un impulso elettrico, che regola la posizione del braccio corrispondente, e ciò è costituzionalmente un’informazione analogica a prescindere di quale che sia la tecnologia elettronica adoperata (analogica o digitale). Infatti, questo intervallo temporale è, almeno in linea di principio, variabile con continuità, anche se con le moderne radio digitali in realtà viene discretizzato. Lo stesso discorso vale per i potenziometri degli stick e dei servi, a meno che non si tratti di sofisticati encoder digitali.

Uno standard abbastanza diffuso prevede che la durata del segnale sia compresa tra 900 msec (milionesimi di secondo o microsecondi) e 2100 msec, cui corrispondono in genere deflessioni angolari di ±60° e una posizione centrale quando l’impulso è di 1500 msec: in pratica vi sono circa 10 msec per ogni grado di rotazione dell’albero.

L’intero intervallo temporale discusso è normalmente disponibile solo se si sfruttano anche le estensioni del fondo corsa, in genere accessibile nella trasmittente. Se per controllare la lunghezza di tale impulso, la radio avesse a disposizione 12 bit, quest’ultimo sarebbe rappresentato in 212 = 2048 possibili valori discreti che dovrebbero coprire una variazione totale di 1200 msec.

In linea di principio la radio può controllare quindi incrementi temporali che sono una frazione di microsecondo e, di conseguenza, variazioni della posizione angolare del servo minori del decimo di grado. Questo in linea del tutto teorica e con l’ulteriore ipotesi che la precisione e l’accuratezza dei potenziometri della radio e dei servi siano all’altezza della situazione.

Per aggiornare la propria posizione, il servo confronta la durata dell’impulso in arrivo con l’informazione proveniente dal potenziometro interno, collegato con l’albero principale, e attiva di conseguenza il motore cercando di minimizzare la differenza tra i due dati.

Se ciò fosse fatto agendo sul motore con interventi molto intensi in modo da rendere minimo l’errore, si correrebbe il rischio che il braccio del servo inizi a oscillare attorno alla posizione di equilibrio e ciò si aggraverebbe se le masse attorno agli assi di rotazione fossero elevate.

Senza addentrarci ulteriormente, si comprende che è necessario realizzare una zona di non intervento, detta “dead band”, attorno alla posizione di equilibrio del servo, entro la quale il sistema non effettua alcuna correzione. Ciò evita che il controllo elettronico ad anello chiuso generi delle oscillazioni, ma introduce una forma di “gioco elettronico” che va a sommarsi a quelli dei leveraggi.

Contrariamente a ciò che si è portati a pensare, i giochi meccanici della catena d’ingranaggi non dovrebbero avere un ruolo perché il potenziometro del servo è calettato direttamente sull’albero della squadretta. Il controllo ad anello chiuso li dovrebbe eliminare automaticamente e, semmai, potrebbe essere la qualità costruttiva del potenziometro ad aggiungere un suo contributo al risultato finale complessivo.

La dead band è normalmente espressa con un tempo in microsecondi poiché, come già visto, vi è una corrispondenza diretta tra durata dell’impulso e posizione angolare del servo. Trattandosi sempre di un controllo ad anello chiuso e grazie all’utilizzo di potenti microprocessori è oggi possibile, nei moderni servo digitali, ottenere tempi morti dell’ordine di qualche microsecondo, contro i circa otto microsecondi di quelli analogici. Provando a tradurre brutalmente ciò in un’indeterminazione angolare, si ottengono in corrispondenza di 3 msec di dead band, valori dell’ordine di circa 0,3° cui vanno sommate le altre indeterminazioni meccaniche. Durante il setup di un modello si è provato a misurare il gioco totale (vedi figura 1) presente su uno dei timoni di profondità, mediante una livella digitale a due cifre decimali, rilevando un gioco totale di 0,5° tra due posizioni opposte nelle quali il servo iniziava appena a reagire. Considerando che si trattava di un servo proprio con una dead band di 3 msec e che il collegamento era “diretto”, il numero ottenuto è compatibile con la stima dedotta precedentemente a meno di 0,2°.

L’indeterminazione totale può crescere di molto se viene applicata una coppia esterna che tenta di allontanare il servo dalla sua posizione di equilibrio e si comprende bene come l’errore dovuto alla quantizzazione della durata dell’impulso sia veramente trascurabile rispetto a quanto appena descritto.

È soprattutto su questo parametro che i servi digitali dominano perché generano una coppia, superata la piccola dead band, che cresce rapidamente con la deviazione imposta, opponendosi fortemente all’azione che l’ha generata.

Non approfondiremo il discorso sulla coppia poiché non è facile determinare le forze necessarie all’azionamento delle superfici mobili, specialmente quando si parla di acrobazia 3D, e ci vorrebbero dei dati sperimentali specifici rilevati nelle varie possibili manovre. In mancanza di ciò, vale la regola di confrontarsi con altre implementazioni, tenendo in conto sempre che maggiore è l’escursione desiderata, tanto minore sarà la coppia disponibile sull’asse di cerniera.

In modo complementare, se si azionasse un comando con piccoli incrementi di 1 msec nella durata dell’impulso, ad esempio con un programmatore/analizzatore digitale di servi, ci si renderebbe conto che la superficie mobile si muoverebbe a scatti solamente dopo due o tre incrementi consecutivi. Vi è cioè una certa “granulosità” nel movimento che non si percepisce molto durante le escursioni sicuramente più ampie degli stick. Questi scatti saranno ovviamente tanto più evidenti quanto meno si sfrutterà tutta l’escursione disponibile del servo per muovere il corrispondente comando.

Va citato che esistono servi digitali programmabili con i quali è possibile aumentare l’escursione angolare fino a raggiungere ±90°, cosa che darebbe più coppia, ma è anche vero che è difficile non incappare in limitazioni di movimento imposte da tutto il sistema di leveraggi.

Il Servo: La Velocità

Passiamo adesso ad alcune considerazioni sulla velocità di tutta la catena di controllo in modo da potere valutare l’impatto dovuto al solo servocomando. L’impulso che lo controlla si ripete nel tempo in genere cinquanta volte al secondo e si comprende che, durante l’intervallo di tempo tra due successivi impulsi, esista un buco temporale di circa 20 msec (millesimi di secondo).

Prima di questo intervallo il servo non può aggiornare la propria posizione perché non ha semplicemente l’informazione per farlo e può solo, nelle situazioni migliori, mantenere la precedente.

Non sono tempi lunghissimi se confrontati ad esempio con i tempi di reazione umani. Per semplici compiti, dalla percezione visiva alla partenza dell’azione muscolare, quale ad esempio l’attivazione di un pulsante in corrispondenza a un segnale ottico, trascorrono in media approssimativamente tra i 200 e i 250 msec, che è un tempo da 10 a circa 12 volte maggiore.

Le cose in realtà sono più complicate perché la percezione di segnali che necessitano un’interpretazione o delle decisioni da parte del cervello, danno luogo a tempi di reazione maggiori. A ciò si sopperisce con l’apprendimento e l’allenamento che in qualche modo aiuta a interpretare rapidamente ciò che si sta verificando o addirittura a prevedere ciò che accadrà prima che si riesca a percepirlo. Quest’ultimo fatto è fondamentale nella disciplina 3D, poiché si vola in condizioni di “instabilità” e il corretto assetto dell’aereo è demandato alle continue correzioni del pilota che devono chiudere il loop di controllo, minimizzando le oscillazioni ed evitando anche eventuali condizioni pericolose, specialmente in manovre prossime al suolo.

Francamente 20 msec o poco meno non sembrano così importanti se confrontati con quelli propri delle nostre reazioni, ed è probabile che tale intervallo possa essere tecnicamente ridotto, ma è ragionevole pensare che la coesistenza tra servi digitali e analogici e forse le considerazioni fatte, rendano poco vantaggioso un nuovo standard (alcune radio hanno comunque la possibilità di utilizzare già frequenze più alte).

Supponiamo adesso che il modello, per qualche motivo esterno, assuma una posizione inattesa o non desiderata.

Prima che si possa agire sui comandi, il nostro organismo ha bisogno ottimisticamente di 250 msec, sempre che si stia pilotando con una concentrazione massima e che si capisca immediatamente l’azione da intraprendere. A ciò va aggiunto ancora il tempo necessario affinché i nostri muscoli compiano il movimento coordinato degli stick. Non ci si dovrebbe meravigliare se si arrivasse a superare il mezzo secondo.

Infatti, nel caso particolare della frenata di un’autovettura, da quando si percepisce il pericolo all’azionamento completo del pedale, si arriva tranquillamente a circa un secondo di ritardo.

Azionato uno stick, prima che la superficie mobile raggiunga la posizione voluta, dobbiamo ancora attendere il tempo che il servo impiegherà per raggiungerla. Nel caso peggiore di una manovra brusca che richieda una rotazione di 60°, occorrerà considerare la velocità del servo che è però definita in assenza totale di carico. I tempi per tali rotazioni vanno da circa 40 ms a circa 150 ms in funzione del modello utilizzato e devono ovviamente essere aumentati per effetto dei carichi aerodinamici presenti in volo. Nell’ipotesi quindi che si tratti di un servo da 100 msec/60°, dovremo sommare al tempo fisiologico un ulteriore intervallo che non sarà inferiore a 100 msec.

Ai tempi in precedenza stimati va considerata anche la risposta del modello che reagirà con una certa lentezza se di grandi dimensioni.

Solo allora il pilota potrà percepire il prodotto della sua azione e dare luogo a un eventuale nuovo intervento correttivo. E’ facile allora immaginare che controllare il modello in base alle sue reazioni non porti molto lontano e tale comportamento è probabilmente quello che si adotta involontariamente nelle fasi iniziali dell’apprendimento al pilotaggio.

Sicuramente un allenamento continuo ci consente di costruire un modello mentale predittivo di come le situazioni possano evolvere e di apprendere diverse sequenze motorie opportune da utilizzare nelle diverse circostanze. Solo così si può pensare di anticipare e svolgere opportunamente l’azione in modo da ridurre gli enormi ritardi fisiologici.

Da quanto detto non sembra emergere un ruolo fondamentale delle prestazioni velocistiche del servo, anche se è probabile che in manovre coordinate, premeditate e repentine, queste ultime possano avere un ruolo, specialmente nei modelli piccoli e molto reattivi. Nel caso particolare degli elicotteri ciò è importante soprattutto nella gestione dell’elica anti-coppia, dove l’anello di controllo che si chiude con il giroscopio è molto veloce (lo deve essere), rispetto a quello che si chiude attraverso il controllo del pilota.

Da quanto discusso è fondamentale, viste le grandi escursioni delle superfici di controllo richieste nel volo 3D, utilizzare servi digitali e sfruttare al massimo tutta la corsa disponibile dell’attuatore, cercando di fare coincidere gli impulsi di controllo che durano 900 msec e 2100 msec con i corrispondenti fondo corsa meccanici massimi richiesti. Così facendo il tempo totale di azionamento statico sarà magari maggiore, ma se ne guadagnerà in coppia e precisione. La maggiore coppia potrebbe addirittura ridurre lo stesso tempo di azionamento in condizioni operative, quando cioè l’aereo è in volo ed è necessario applicare una certa forza alle superfici mobili. Se la radio disponibile lo consente, conviene sfruttare anche i piccoli surplus di corsa spesso accessibili.

Nel caso in esame le lunghezze dei bracci saranno forzatamente confrontabili e la coppia che il servo può erogare corrisponderà praticamente con quella applicata sull’asse di cerniera.

L’utilizzo di queste precauzioni saranno ancora più determinanti se con le stesse geometrie ottimizzate per il volo 3D volessimo fare, in condizioni aerodinamicamente più convenzionali, un’acrobazia più veloce e precisa. In questo caso dovremo ridurre le corse intervenendo sul “dual rate”, o con le fasi di volo, che tradotto in termini di impulsi vuol dire che utilizzeremo una variazione totale minore di ±600 msec.

Dimezzando ad esempio le corse a ±30°, avremo raddoppiato tutte le indeterminazioni relativamente ad un’escursione totale minore e, in considerazione della maggiore velocità del modello, ciò comprometterà maggiormente la precisione.

Per contenere al minimo questi effetti è auspicabile progettare al meglio la geometria dei leveraggi di controllo o, nel caso si tratti di un modello ARF, ottimizzare al massimo ciò che viene reso disponibile dal kit.

I casi che verranno in seguito analizzati sono solamente tre ed è ragionevole credere che essi possano coprire completamente le combinazioni più frequentemente utilizzate.



 

Assi di Rotazione Paralleli

Si tratta del caso più semplice in cui l’asse di rotazione del servo è parallelo all’asse di cerniera della superficie da controllare. In genere il piano su cui giace il braccio del servo coincide all’incirca col piano della squadretta del comando azionato.

In questa tipologia rientrano configurazioni che possono essere adoperate in pratica ovunque in un modello, come mostrato ad esempio di seguito in figura 2a, nel caso di un’ala di un piccolo motoaliante, in cui il servo viene “annegato” all’interno della stessa.

Nella classe di modelli di cui stiamo parlando, questa soluzione è spesso utilizzata sui piani di profondità, montando i servi sulle fiancate della fusoliera come in figura 2b.

Nel caso assai banale in cui la lunghezza utile del braccio del servo coincida con quello della squadretta e che entrambi siano paralleli nella loro posizione di riposo, allora lo saranno sempre e la relazione che intercorre tra essi sarà lineare (parallelogramma).

In figura 3 si riporta ad esempio uno schema che descrive questa configurazione, nel caso in cui vi sia un piccola differenza tra i due assi di rotazione indicata con H, che assumeremo essere positiva. Spesso può essere introdotta per motivi costruttivi o per evitare interferenze meccaniche con altre parti dell’aereo. Come verso positivo di rotazione del servo (angolo a) si è scelto quello antiorario così come quello della superficie mobile (angolo b), sempre riferiti alle rispettive posizioni di riposo. Quest’ultime possono anche essere modificate nel foglio di calcolo, introducendo uno scostamento angolare con la stessa convenzione dei segni, in modo per esempio che i due bracci non siano paralleli a riposo.

Come si diceva, nel caso di bracci utili uguali, a meno di scostamenti angolari iniziali particolari che non li rendano paralleli a riposo, la relazione è lineare e di scarso interesse. Se introduciamo ad esempio un offset di dieci gradi (per esaltare l’effetto) solo sul braccio della superficie di comando in direzione antioraria (bo=+10°), come se la squadretta non fosse ben allineata con l’asse di cerniera come mostrato in figura 4, allora si otterrebbe una relazione non lineare dove, per escursioni positive non è necessaria la corsa completa del servo, mentre nella direzione opposta, la stessa non è invece sufficiente anche se di poco.

Ciò è mostrato in figura 5 ed è immediato che il tutto si corregge dando anche al braccio del servo uno scostamento iniziale positivo di 10 gradi (ao=+10°) in modo da renderlo parallelo al braccio geometrico della squadretta di comando.

Per concludere l’argomento su questa configurazione abbastanza semplice occorre analizzare il caso, piuttosto inusuale, mostrato in figura 6. Una delle possibili configurazioni equivalenti si può ottenere da quella di figura 3 modificando H, lo scostamento tra i due assi, a -70 mm ( due volte il braccio) e ponendo l’angolo a riposo del servo ao a 180°.

Il risultato di disporre “tutto” ortogonale è abbastanza inefficace, com’è possibile vedere nella figura 7 e ciò può essere compensato abbastanza bene riducendo praticamente la sola distanza H tra i due assi.

In definitiva, l’asta di comando nella posizione di riposo non sarà ortogonale al braccetto del servo e alla squadretta di comando, come riportato nell’inserto di figura 6.

È chiaro che questa correzione non può essere applicata nell’esempio discusso per evidenti interferenze del servo con la struttura della semiala.

 

Assi di Rotazione Ortogonali

Passiamo adesso al caso in cui il funzionamento è un poco meno intuitivo e che spesso è utilizzato per azionare gli alettoni. Ovviamente il discorso si potrà utilizzare, nel caso dei maxi-acrobatici, per ogni servo adoperato sulla singola superficie controllata.

I parametri in gioco in questo caso sono molteplici e nel descriverli si farà riferimento a un caso realmente affrontato che sarà utilizzato come esempio.

Nella figura 8 sono mostrate tutte le dimensioni che entrano in gioco in questa configurazione, fatta eccezione dell’angolo b del braccio di comando che, per convenzione, avrà lo stesso segno dell’angolo a che lo ha determinato.

Le dimensioni riportate si riferiscono già alla situazione ottimizzata e l’uniball sul braccio del servo è stato posizionato sul lato inferiore in analogia con l’implementazione reale.

Nuovamente si può osservare che, in posizione di riposo, l’asta di comando assume una posizione obliqua rispetto ai bracci e ai due piani associati (vedi anche figura 10).

Al solito, per mostrare il risultato, lo confronteremo con quello in cui l’asta di comando, a riposo, è ortogonale ai bracci, giace sui due piani corrispondenti, la leva del servo è parallela all’asse di cerniera mentre quella del comando è a sua volta parallela all’albero del servo. Per ottenere ciò è sufficiente porre le due distanze H e U a 35 mm cioè pari alla lunghezza dei due bracci.

Nella figura 9 viene riportato in tratteggiato l’angolo del comando in funzione di quello del servo per il caso appena menzionato, mentre in linea continua si mostra la stessa funzione dove si è ottimizzato il risultato ponendo H e U a 27 mm.

Data la particolarità della geometria e grazie al foglio di calcolo, si sono dedotti anche gli angoli che l’asta di comando forma con i due piani passanti per i centri delle sferette dell’uniball, ortogonali all’asse di cerniera del comando e all’asse del servo (figura 10). Questi rappresentano anche la deviazione della sferetta dalla sua posizione naturale di riposo, nella quale l’asse del foro della stessa e ortogonale al piano di simmetria dell’alloggiamento sferico e possono avere delle limitazioni meccaniche costruttive e d’implementazione.

La soluzione di portare a 27 mm entrambe le distanze H e U fa si che l’asta di comando a riposo sia obliqua ai due piani, formando un angolo di circa 6°. Si è scelta la convenzione che l’angolo che l’asta forma con il piano del servo è positivo, se quest’ultima giace al di sopra di esso come in figura 10.

Riguardo al comando, l’angolo sarà considerato negativo quando l’asta giace alla sinistra del corrispondente piano, ancora come nel caso di figura 10.

Nella figura 11 sono riportati entrambi gli angoli di deviazione dell’asta in funzione dell’angolo del servo per il caso di riferimento e per quello ottimizzato.

 In figura 12 è mostrato il risultato finale in cui si coglie la posizione obliqua dell’asta di comando. Da considerazioni geometriche, data la lunghezza efficace del braccio B e l’escursione angolare massima della superficie mobile bmax, che nel nostro caso è di 60°, H e U possono essere stimate con la seguente relazione approssimata:


Pull-Pull Incrociato

In quest’ultimo paragrafo prenderemo in esame una classica configurazione che viene utilizzata per il controllo della deriva. Il servo è montato in una posizione relativamente centrale all’interno della fusoliera e due cavi raggiungono le due squadrette della deriva incrociandosi tra di loro. In figura 13 viene riportato uno schema di principio della soluzione che descriveremo, assieme a quella nella quale i cavi non si incrociano. L’unico svantaggio di quest’ultima risiede nel fatto che i cavi avranno bisogno di un’apertura, sui fianchi della fusoliera, di maggiore lunghezza e usciranno dalla stessa per un lungo tratto nel quale sarebbero d’intralcio. Trascurando questo particolare, la configurazione senza incrocio è assimilabile al primo caso già descritto in cui l’asse del servo è parallelo a quello di cerniera. Infatti, per ragioni di simmetria, possiamo immaginare di eliminare un cavo e supporre l’altro assolutamente rigido. L’unica differenza rispetto al primo caso analizzato risiede nella distanza tra i due assi che qui sarebbe molto maggiore della lunghezza dei bracci.

Il discorso cambia profondamente nel caso in cui i cavi s’incrociano proprio per il fatto che la loro lunghezza è leggermente maggiore della distanza d’interasse D. Sebbene poco invadente, tale soluzione introduce una difficoltà che a prima vista è difficile da individuare. Chi ha provato la soluzione mostrata in basso nella figura 13 si sarà accorto, azionando il comando, che all’aumentare dell’angolo della deriva i cavi subiscono un allentamento. Ciò può essere tradotto in un gioco della superficie di controllo, quanto più essa si allontana dalla posizione centrale. Infatti, riflettendo sul caso “limite” in cui le squadrette sono ruotate fino a raggiungere i 90°, è facile pervenire al risultato che la distanza tra i vertici collegati dal cavo raggiunga esattamente l’interasse D mentre il cavo, dimensionato per la posizione neutra, è di lunghezza maggiore.

Non è raro trovare nel web, in forum specifici dedicati all’aeromodellismo, che questo fenomeno non è rilevante poiché, quando si verifica, la deriva è sottoposta ad una azione aerodinamica intensa che tiene automaticamente in tensione il cavo sottoposto a trazione.

Il ritorno nella posizione neutra sarebbe “assistito” sempre da questa forza e non dall’altro cavo, che raggiungerebbe la piena tensione solo alla centralizzazione. Questa descrizione fa assomigliare il sistema a uno in cui esiste solo un cavo e una molla antagonista che è preposta a riportare la superficie nella posizione neutra. Il sistema si ribalta automaticamente azionando il comando nell’altra direzione, ma va considerato che il ruolo della molla è svolto dalle forze aerodinamiche che agiscono sulla parte mobile della deriva e che quindi sono variabili, dipendenti dall’assetto, dalla turbolenza dell’elica e dalla manovra che si sta compiendo.

Poiché il gioco introdotto può essere notevole e la soluzione è relativamente semplice, non s’intravede il motivo per cui non intervenire. In figura 14 è riportata in azzurro la solita relazione, tra l’angolo del servo e quello della deriva, che non ha particolari sorprese se non per il fatto che sarà necessario, per un azionamento della superficie mobile di ±60°, allungare leggermente il braccio del servo rispetto a quello del comando.

Sempre nello stesso grafico è mostrato in neretto il gioco totale che la deriva verrebbe ad avere, in funzione dell’angolo del servo, inteso come la variazione in gradi tra le due posizioni in cui sarebbero in tensione l’uno o l’altro cavo.

Nel calcolo, il cavo è interpretato in maniera “geometrica”, nel senso che si oppone rigidamente al suo allungamento solo quando ha raggiunto esattamente la sua lunghezza originale e non esercita quindi alcuna forza quando subisce un allentamento anche micrometrico: di conseguenza non vi è nemmeno alcun tensionamento iniziale. Questo porta ad una stima per eccesso dell’indeterminazione in gradi che la deriva può subire.

Per minimizzare il gioco che si viene a creare per l’allentamento dei cavi è sufficiente utilizzare per il servo delle opportune squadrette che si possono trovare in commercio. Queste sono realizzate in modo che i due bracci siano inclinati nella direzione della coda a formare un piccolo angolo come mostrato ad esempio in figura 15.

Utilizzando una squadretta di questo tipo, nel caso particolare di una distanza tra gli assi di 80 cm e per una lunghezza dei bracci pari a 35 mm, come riportato non in scala in figura 16, si ottiene un netto miglioramento. Ciò è mostrato chiaramente in figura 17.

S’intuisce che tale correzione andrebbe adattata, di volta in volta, in funzione delle dimensioni del sistema. Ad esempio, per una distanza di 70 cm è necessario un angolo di 8° mentre se l’interasse fosse di 100 cm, allora basterebbero solo 5°. Occorre fare attenzione a non eccedere perché altrimenti, approssimandosi al fondo corsa, i cavi potrebbero al contrario tendersi nuovamente, superando la condizione che essi avevano a riposo.

Nel caso di maxi-acrobatici la stessa correzione può essere applicata utilizzando una squadretta finale opportuna, come mostrato in figura 18.

In maniera perfettamente simmetrica, lo stesso tipo di correzione può essere ottenuto modificando l’angolo della squadretta sulla deriva in maniera speculare rispetto a quanto fatto con quella del servo, utilizzando però per quest’ultimo una squadretta dritta.

Conclusioni

I risultati descritti fino ad ora, possono ovviamente essere utilizzati in tutti i contesti aeromodellistici, ma è evidente che la loro importanza cresce quanto più si vogliono escursioni ampie delle superfici aerodinamiche di controllo.

Esagerare in questa direzione comporta una lotta all’ultimo “grado” e quindi un’elevata precisione nella disposizione dei leveraggi ed è controproducente se si desidera affrontare, oltre ai temi del 3D, anche quelli dell’acrobazia di precisione con un aereo non proprio adatto allo scopo.

Con i dovuti accorgimenti è possibile contenere i compromessi cui si è costretti a scendere e di sicuro l’utilizzo di servi digitali performanti costituisce un primo punto di forza, ed è proprio il caso di dirlo, per una soluzione efficace.

Antonello Santangelo per Modellismo